Nell’anno in cui ricadono i duemila anni dalla morte del poeta Ovidio, abbiamo deciso di portare in scena il nostro spettacolo-mondo. “Cantami dell’universo” esplora il millenario dilemma del rapporto tra umano e divino, il contrasto tra libera scelta e fato, il desiderio degli uomini di innalzarsi verso il cielo e il potere degli Dei di vendicarsi e punirli di tale arroganza, ma anche di essere generosi e ricompensarli per i sinceri atti di devozione a loro dedicati.
Lo spettacolo è ispirato ai quindici libri dell’opera di Ovidio, in cui i miti si inanellano come se fossero perle di una collana, lungo un filo di seta che si dipana tra oceani, boschi, villaggi, palazzi reali e buie caverne.
A partire dal mito della creazione, l’escamotage teatrale di multiple voci narranti accompagna lo spettatore attraverso alcune storie notissime: la brusca interruzione della festa nuziale di Orfeo e Euridice e la discesa agli inferi del disperato musico, la suprema sete di ricchezza di Re Mida, il delicato e poetico incontro tra Eros e Psiche. Altri miti, forse meno conosciuti, raccontano lo struggente pianto di Alcione in attesa del ritorno di suo marito Ceice che si innalza fino all’Olimpo a commuovere perfino l’altera Afrodite, o ancora i buffi tentativi del goffo e timido Vertumno di far innamorare di sé la bellissima ninfa Pomona.
In scena, la stratificazione dei vari livelli di lettura dello spettacolo nasce dall’incontro tra teatro di parola – la narrazione come fulcro originale della comunicazione teatrale – e il potere evocativo delle azioni metaforiche che esaltano il valore contemporaneo di un sistema mitologico ideato millenni fa, eppur estremamente attuale. Perché nonostante le scoperte scientifiche, lo sviluppo, e la frenesia del mondo tecnologico odierno, gli uomini sono ancora alle prese con le stesse emozioni incarnate dai personaggi di “Cantami dell’universo”: amore, orgoglio, nostalgia, speranza, rispetto, vendetta, fede.
Note di regia
Come si mette in scena l’universo?
Per sottrazione. Lasciamo respirare il palco, affinché siano le parole e i gesti degli attori ad evocare per lo spettatore i mille luoghi attraversati, gli scenari sovrapposti, le emozioni suscitate.
Pochi elementi scenici – una porta rossa, una sedia bianca, del sale, del sughero, delle vele bianche – appaiono e scompaiono per trasformare lo spazio in luoghi diversi. Gli attori stessi diventano oggetti inanimati, animali, dei o semi-dei in un continuo gioco di ruoli.
Dal fondo, a tratti, delle video-proiezioni immergono gli attori in immagini alate o floreali. I personaggi di “Cantami dell’universo” fluttuano, emergono dalle acque, scompaiono nel deserto, ma soprattutto vengono evocati dal nulla del tempo.
Visioni
I colori giocano un ruolo centrale nella costruzione visiva dello spettacolo. Gli Dei sono vestiti con estrema eleganza, coi toni del cielo, dei tramonti, delle profondità oscure, ma sempre con bagliori di oro. Sonno è circondato dalla leggerezza di nuvole bianche, Ade e Persefone da sfolgorii di perle nere. Afrodite è una icona della Hollywood anni ’50, un po’ Gloria Swanson un po’ Grace Kelly.
Re Mida è un rampante manager, un aizzatore di folle, un guru di corsi di personalità e auto-coscienza.
Bauci e Filemone sono due vecchini da manga giapponese.
Lo spazio scenico è costruito su contrasti di luce e ombra, spesso diviso tra proscenio e sfondo che vengono illuminati diversamente per sottolineare l’azione principale ed incorniciare quella secondaria.
La musica è un sottofondo, ma anche un personaggio con cui i narratori dialogano, alternando sonorità e ritmi, intersecandoli, giocandoci.
Cosa diciamo?
Usiamo la polivocalità. Gli attori sono narratori in alcune scene, e personaggi agenti in altre (Dei, fauni, Re, lavandaie, bambinaie, principesse, ninfe). Non c’è mai una separazione netta e definitiva tra chi narra e chi agisce. A volte un narratore ruba la battuta ad uno dei personaggi coinvolti in prima persona nel mito, altre volte sono i personaggi stessi a fuoriuscire per un momento dall’azione e diventare narratori della propria storia. Ci si sovrappone, ci si scambia, ci si incrocia. La polivocalità crea movimento, sposta l’asse dell’interesse, mantiene viva la curiosità, il desiderio di immergersi nel mondo di “Cantami dell’universo” e divenire parte integrante del flusso.
Perché narrare i miti?
E’ una necessità. Lo spettacolo ha messo in moto le energie di tutti coloro che sono stati coinvolti, ha contribuito alla loro/nostra metamorfosi individuale e di gruppo.
Il pubblico che ha partecipato alle prime letture pubbliche del testo ci ha subito indicato che eravamo sulla strada giusta, che esisteva una connessione diretta, emozionale tra le nostre parole recitate e le loro esperienze vissute. Ma in fin dei conti noi siamo loro, ne condividiamo il tempo presente, le ansie, le speranze.
La messa in scena finale è nata avendo già in mente i singoli artisti a cui affidare i ruoli, ed in quanto tale potrebbe essere un progetto chiuso. Ma in realtà è estremamente aperto, vitale, che necessita dello scambio energetico con il pubblico. “Cantami dell’universo” si pone in una linea di tradizione millenaria, le cui radici sono immerse in Ovidio e nella cultura orale che lo ha preceduto e di cui lui è stato interprete. Siamo alla ricerca di una comunità; alle radici dell’atto teatrale.