Cipolle nasce da un viaggio fatto ad occhi chiusi, un viaggio negli anfratti della memoria, un viaggio che facevo da bambina affacciata alla finestra di un grande cortile, spiando e sognando le vite degli altri.
Tanti erano i personaggi che vivevano in quel codominio. Già allora parecchi gli extracomunitari, già tanta l’insopportabile puzza di cipolla che saliva dai seminterrati abitati dagli indiani.
Ho chiuso di nuovo gli occhi e ho lasciato che i personaggi, forse un tempo solo immaginati o forse esistiti veramente, riprendessero a vivere per raccontare una nuova storia, una storia vera e amara quanto attuale, senza però togliere mai il divertimento.
Con un testo già ricco di contenuti, nonostante la sua apparente semplicità, ho voluto che fosse proprio la “semplicità” il motore di tutto lo spettacolo. Che a stupire lo spettatore fosse la quotidianità, che spesso, come nel caso di Cipolle, supera di gran lunga la fantasia.
La storia si svolge nell’arco di un fine settimana, dentro una cucina di un modesto appartamento di piazza Vittorio. La cucina come palcoscenico di vita, con la sua spontanea verità. Perché non importa il tipo di casa; resta sempre la cucina il luogo dove ci si ritrova e si parla.
I personaggi, tutti, con ogni preciso gesto, movimento e sguardo ho voluto che rappresentassero, fin troppo facilmente, ciò in cui è più facile ritrovarsi. Ma soprattutto ho voluto che con ogni gesto, movimento e sguardo raccontassero invece tutto quello che spesso coviamo e meno facilmente accettiamo di essere.